PSICOLOGA · PSICOTERAPEUTA EMDR · DBR
dr.ssa Roberta Paradisi
dr.ssa Roberta Paradisi

Quando incontro i genitori in studio, spesso mi raccontano una storia simile: hanno appena ricevuto una diagnosi di plusdotazione per il loro figlio, ma non sanno a chi rivolgersi. Le informazioni sono poche, i percorsi frammentari, i professionisti con una formazione completa rari.
Altre volte accade il contrario: bambini, adolescenti o adulti mostrano caratteristiche tipiche della plusdotazione, ma nessuno ha mai pensato di proporre una valutazione mirata. E ci sono situazioni ancora più complesse: la plusdotazione può intrecciarsi con altre condizioni come ADHD, ansia, DSA o tratti autistici. Fare chiarezza in questi casi richiede grande competenza diagnostica e una visione davvero ampia.
In Italia, purtroppo, i centri si muovono spesso in modo settoriale: chi lavora bene sui DSA, chi conosce a fondo l’ADHD, chi si occupa di autismo. Ma la plusdotazione è trasversale e richiede un approccio integrato.
Immagina un bambino che non si limita a pensare più in fretta, ma che collega le idee come se il suo cervello fosse una rete sempre in movimento, plastica, capace di imparare e adattarsi con velocità sorprendente. Questo è ciò che significa plusdotazione: non soltanto un “QI alto”, ma un modo diverso di funzionare, più rapido e connesso (Bear, Connors & Paradiso, 2020). Le neuroscienze lo confermano, mostrando che i cervelli gifted hanno connessioni più efficienti e una plasticità speciale che rende il loro apprendimento profondo e immediato.
Anche le emozioni seguono la stessa intensità. Come sottolinea Lisa Feldman Barrett, le emozioni non sono qualcosa con cui nasciamo già pronte, ma vengono costruite dal cervello a partire dall’esperienza e dal contesto (Barrett, 2017). Nei bambini plusdotati questa capacità di creare significato è potenziata, e così gioia, tristezza, entusiasmo o frustrazione possono essere vissuti in modo molto più intenso e coinvolgente. È un dono, ma può diventare anche una sfida.
Jeanne Siaud-Facchin ricorda che essere “troppo intelligenti” non significa essere automaticamente felici (Siaud-Facchin, 2014). La stessa intensità che nutre la creatività e la sensibilità può trasformarsi in fatica emotiva, rendendo questi bambini più vulnerabili a sentirsi “fuori posto” o sopraffatti. Per i genitori, questo significa imparare a leggere dietro la brillantezza, cogliere la fragilità che a volte si nasconde nell’eccesso di pensieri ed emozioni, e accompagnare i figli non solo nel loro talento, ma anche nel loro bisogno di sentirsi accolti e compresi.
I gifted non sono tutti uguali, ma alcune caratteristiche ritornano spesso:
Come sottolinea Steven Pfeiffer (2018), la plusdotazione è una condizione ad alto rischio: senza accompagnamento e sostegno, il talento cognitivo può trasformarsi in fragilità.
In Italia fare una diagnosi di plusdotazione è ancora un percorso complesso e non sempre lineare. Capita spesso che bambini molto vivaci e curiosi vengano etichettati come “iperattivi” o “oppositivi”, quando in realtà mostrano un profilo gifted che non viene riconosciuto. Altri, invece, restano invisibili: si adattano al ritmo della classe, si adeguano per non emergere e finiscono per spegnere poco a poco la loro curiosità naturale.
Ci sono poi situazioni ancora più delicate, in cui le diagnosi si sovrappongono: un bambino può ricevere un’etichetta di ADHD e allo stesso tempo presentare caratteristiche di plusdotazione, oppure mostrare tratti autistici insieme a un funzionamento intellettivo molto alto. In assenza di una valutazione accurata e multidimensionale, il rischio è duplice: da un lato sottovalutare le reali potenzialità, dall’altro patologizzare impropriamente ciò che invece è parte di un funzionamento diverso, che ha bisogno di essere compreso e sostenuto.
Il cervello gifted è potente ma anche vulnerabile. Gli studi sul trauma complesso (Lanius et al., 2017) mostrano che i cervelli più sensibili sono anche quelli più esposti a stress e shock emotivi.
Anche l’alimentazione e il microbiota (Naidoo, 2020; Mosconi, 2018; Rescigno & Selmi, 2020) hanno un ruolo fondamentale: ciò che mangiamo influenza direttamente l’umore, l’attenzione, la memoria.
Per questo è importante un lavoro di rete: psicologi, insegnanti, pediatri, nutrizionisti, famiglie. Solo unendo le competenze si possono valorizzare le potenzialità e ridurre i rischi di sofferenza.
La plusdotazione esiste, e merita di essere compresa nella sua complessità. Questo articolo vuole essere solo un primo passo, una base di partenza.
Nei prossimi articoli entreremo dentro i vari aspetti. Il prossimo sarà dedicato a Neuroscienze ed emozioni: “Il cervello plusdotato: intensità cognitiva ed emotiva”. Parlerò di plasticità cerebrale, di come si costruiscono le emozioni e del perché i gifted vivono con tanta intensità ogni esperienza.
Non basta misurare l’intelligenza: serve riconoscere la sensibilità che la accompagna.